Sigonella e i “patti segreti” fra USA e Italia

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di Salvo Barbagallo

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Da anni, e in più circostanze La Voce dell’Isola” si è occupata della progressiva militarizzazione della Sicilia: più che “militarizzazione” nazionale, l’abbiamo definita “occupazione militare” del territorio siciliano da parte di forze straniere (anche se definite “alleate”), quelle degli Stati Uniti d’America. Sin dagli inizi degli Anni Cinquanta gli USA hanno preso “possesso” di larghe aree dell’Isola senza tenere in alcun conto la “sovranità” di una Regione autonoma retta da uno Statuto Speciale, come era ed è, appunto, la Sicilia. In realtà la progressiva espansione di installazioni statunitensi è stata possibile grazie a Trattati bilaterali Italia-USA che hanno disconosciuto in maniera totale quanto stabilito nel Trattato di pace fra l’Italia e le Potenze Alleate ed Associate sottoscritto a Parigi il 10 febbraio del 1947. Trattati bilaterali Italia-USA in più tempi e in più modalità che non hanno tenuto conto di una “eventuale” volontà contraria da parte del Governo regionale. Volontà “contraria”, comunque, mai espressa da chi ha governato in passato e da chi governa oggi. La proliferazione delle basi statunitensi in Sicilia, pertanto, è proseguita indisturbata, e solo in un caso, quando vennero dislocati a Comiso 112 missili Cruise USA operativi a partire dal 30 giugno 1983, si registrò una forte reazione popolare e politica, tanto forte ed efficace che i micidiali ordigni vennero trasferiti altrove, fuori Italia. Le proteste di oggi, purtroppo, appaiono folkloristiche, inutili, soprattutto perché sprovviste del supporto politico regionale e nazionale.

Gli scenari di quegli anni, quelli della “guerra fredda”, sono lontani, ma altri scenari ancora più allarmanti si sono aperti nel Mediterraneo e nel vicino Oriente, con eventi che ormai tutti possono seguire quotidianamente sui mass media.

Dagli Anni Cinquanta ad oggi la presenza militare USA in Sicilia si è estesa con una miriade di installazioni: poche in verità quelle note da Sigonella ad Augusta, da Niscemi (con il MUOS sicuramente già operativo anche se non in forma “ufficiale) a Trapani. Diverse installazioni rimangono ignote e coperte da segreto militare. Si presuppone anche che nei depositi di munizioni (ad Augusta? A Sigonella stessa?) siano ammassate bombe nucleari.

Ci si chiede come una situazione del genere sia permessa dal governo nazionale, tenuto conto che anche se “formalmente” ogni cosa sia sotto il controllo italiano, l’autonomia operativa delle forze statunitensi è totale. Ci si chiede il perché tutto ciò sia stato concesso, e perché il governo della Regione Siciliana non sia mai intervenuto in merito.

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Una risposta l’ha fornita Agostino Spataro, deputato del PCI per tre legislature, già componente della VII Commissione (Difesa) che ci ha rimandato ad un suo articolo del 2007, che riproponiamo a seguire poiché nonostante gli anni trascorsi non ha perduto la sua attualità.

PATTI SEGRETI E FINTI BISTICCI

di Agostino Spataro *

La polemica infuria e la protesta monta intorno al via libera dato da Prodi all’enorme ampliamento della base militare Usa di Vicenza, pattuito e autorizzato dal precedente governo Berlusconi.

In questo tourbillon di posizioni e di legittime proteste c’è qualcosa di non detto, una sorta di ipocrisia che certo non aiuta a fugare le giuste preoccupazioni dei vicentini, anzi le aggrava.

Sullo sfondo, oscuro, di questa vicenda si agitano aspetti delicati riguardanti la sicurezza e la sovranità dell’Italia che, per altro, potrebbero mettere a dura prova la coesione dell’attuale maggioranza, offrendo spunto a Berlusconi e soci di tentare un’insidiosa manovra per debilitare e dividere il centro sinistra.

Una trappola in cui non si dovrebbe cadere, senza per questo rinunciare ai chiarimenti necessari e ad esperire tutti i tentativi possibili per concordare con l’amministrazione statunitense eventuali modifiche alle intese precedenti. Uscendo dalle logiche del fatto compiuto e dei diktat, inammissibili fra paesi sovrani e alleati.

Sopra tutto aleggia un interrogativo che nessuno ha posto in questo acceso dibattito: Prodi poteva negare agli Usa il via libera?

Certo, egli avrebbe potuto agire diversamente, più collegialmente e tenendo in maggior conto la volontà delle popolazioni locali, ma- credo- che, per il tipo di relazioni bilaterali vigenti in materia, non avrebbe potuto decidere diversamente.

E non si tratta di filo o di anti americanismo. Queste sono sciocchezze cui ricorrono coloro che sono stati presi con le mani nel sacco. Si tratta di ben altro che richiama la natura segreta e fortemente vincolante del sistema di accordi bilaterali fra Italia e Usa a proposito di basi e servitù militari.
Per Prodi questo passaggio è stato sicuramente solitario e drammatico, anche se poteva risparmiarci l’infelice boutade della “questione urbanistica”. Ai piani alti del governo e della politica si sa che così non è.

Bisognava parlare chiaro e, al limite, investire la responsabilità del Parlamento.

Il no italiano poteva essere espresso (e non lo fu) solo in sede di negoziazione della richiesta d’ ampliamento avanzata dall’amministrazione Usa.

In quella sede il governo Berlusconi ha acconsentito e sicuramente sottoscritto il relativo patto, con tutti i vincoli derivanti.

Perciò, nessuno crede al fatto che tali patti non esistano o siano sconosciuti ai responsabili. Due sono i casi: o si è trattato di una graziosa concessione, sulla parola, del governo Berlusconi o di un patto sottoscritto (dai due governi) e classificato segreto. Nel primo caso l’accordo non avrebbe alcuna legittimità e validità, nel secondo caso il governo in carica avrebbe dovuto conoscerlo.

Spiace che non siano stati informati, nelle forme dovute, Parlamento e cittadini.

Data la natura vincolistica degli accordi bilaterali esistenti fra Italia e Usa (che più avanti indicheremo) a Prodi non restavano molte carte da giocare. Forse, si poteva (e si potrebbe ancora) trattare una diversa allocazione.

La verità è che, tuttora, si sconoscono gli oneri e i vincoli contratti con tale patto e quindi non si può prevedere l’impatto che avrà sulla città di Vicenza in termini di vivibilità e di sicurezza e in generale sul Paese visto che comporta una certa cessione di sovranità, al di fuori del quadro Nato, in favore di uno Stato estero seppure alleato.

Perciò la gente vuol capire e soprattutto vedere le carte e, se possibile, evitare questo nuovo fardello all’Italia che già ospita un numero eccessivo di basi militari straniere (Nato e no) che la espone a pesanti condizionamenti e a pericolose responsabilità.

D’altra parte, non è questa la prima volta che si verifica una situazione così imbarazzante.

Visti i precedenti, relativi ad altre basi Usa installate in Italia, c’è da ritenere che l’ampliamento di Vicenza sia stato pattuito in virtù dell’accordo accordo generale bilaterale, stipulato il 20 ottobre 1954, il cui contenuto rimane “riservato”, che disciplina la concessione e l’uso di basi militari a favore degli Usa.

L’inghippo nasce dal fatto che fra segreti e misteri questo tipo di accordi finiscono per essere inghiottiti dal “buco nero” della riservatezza, creatosi a partire dagli anni ’50, che non consente di vederci chiaro, nemmeno ai parlamentari e alla gran parte dei ministri.

Tale accordo è un testo di esecuzione del trattato militare bilaterale del 1952 “sulla mutua sicurezza tra Usa e Italia” che, nella fattispecie, non può essere considerato come accordo di esecuzione del Trattato Nato. Con l’aggravante che non è stato mai portato in Parlamento per la ratifica.
Tutto in segreto dunque, in Italia. Mentre i parlamenti di altri paesi ospitanti basi Usa, quali Spagna, Portogallo, Grecia e perfino Turchia, hanno da sempre deliberato sul delicato argomento. Evidentemente, il Parlamento italiano è da meno. Questo è il punto politico da cui partire per evitare in futuro situazioni incresciose come quella che stiamo vivendo e per tutelare sul serio la nostra sovranità.

A quasi 60 anni dal primo accordo bilaterale (27 ottobre 1950), non è cambiato nulla: permane il regime di segretezza a cui si è aggiunto il vincolo della reciprocità in caso di disdetta, come dichiarato dall’ex ministro della difesa Martino, nell’audizione del 21 gennaio 2003, alle commissioni di Senato e Camera.

Si tratta, dunque, di una vecchia storia che affonda le radici nella “guerra fredda” e ancora condiziona la vita delle istituzioni democratiche. Anche dopo il crollo dell’Urss e lo scioglimento del Patto di Varsavia.

Ricordo che, a metà degli anni ’80, sollevammo, per conto del PCI, la questione in Parlamento chiedendo la declassificazione dell’accordo del 1954 e dei relativi annessi e la regolarizzazione dell’intera materia ai sensi dell’art.80 della Costituzione che impone la ratifica parlamentare sui trattati che comportano, in qualche modo, una cessione di sovranità.

Forse è venuto il tempo di ri-sollevarla. Questa volta, avendo al governo una coalizione progressista, la questione potrebbe essere degnamente risolta.

26 gennaio 2007

* Agostino Spataro, giornalista e saggista, direttore di “Informazioni dal Mediterraneo” (www.infomedi.it), è stato membro delle Commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati.

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